E’ un regalo o un CEC-PAC-co?

di Andrea Lisi

Coordinatore Digital&Law Department – www.studiolegalelisi.it

Presidente ANORC (Associazione Nazionale Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti)

In un comunicato del 25 gennaio[1] il Dipartimento per la Digitalizzazione della pubblica amministrazione e l’Innovazione tecnologica (DDI), costituito in seno al Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione, ha reso nota la conclusione della fase di selezione delle offerte per la concessione del servizio di Comunicazione Elettronica Certificata tra Pubblica Amministrazione e Cittadini (CEC-PAC) gratuita per i cittadini. Come già avevamo previsto[2] il raggruppamento temporaneo di imprese costituito da Poste Italiane, Postecom e Telecom Italia è risultato primo in graduatoria battendo le proposte concorrenti di Aruba, Fastweb e Lottomatica.

Dalla lettura del comunicato si evince che per l’assegnazione definitiva occorrerà attendere ancora qualche giorno, ma con ogni probabilità il bando, e i 50 milioni di euro previsti per la sua realizzazione, andranno alla “virtuosa” unione tra Poste italiane (con la “sua rete capillare di sportelli presenti sul territorio”) e Telecom (“nota per le sue capacità tecnico-informatiche”).

Come per ogni buona Cassandra l’auspicio di tanti (prima tra tutti l’ANCI[3]), affinché venissero individuate modalità per limitare il rischio che si creasse una posizione dominante da parte dell’affidatario del servizio a scapito del mercato, è rimasto inascoltato.

In effetti, dopo la risposta del Ministro Brunetta[4], nessuno aveva sperato in un cambio di direzione o quantomeno in un “aggiustamento” del bando. Il Bando del Dipartimento per la Digitalizzazione della pubblica amministrazione e l’Innovazione tecnologica si è limitato a fornire un riscontro a quanto previsto dal DPCM 6 maggio 2009: la colpa in fondo non è loro; possibile che se la prendano tutti con il Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione?

Come ha sottolineato Brunetta “non potevamo regalare uno strumento utilizzabile in ogni settore. Saremmo entrati a gamba tesa nel mercato privato degli operatori Pec. Quale operatore sarebbe stato in grado di competere con una Pec pubblica gratuita?”. Effettivamente nessuno avrebbe potuto competere. Ma spendere 50 milioni di euro (dei contribuenti) per una CEC-PAC (che, a nostro avviso, quindi, è tutt’altro che gratuita) per poi chiederne altri (sempre ai cittadini) per una PEC privata a noi appare un’entrata a gambe unite sui fianchi degli italiani!

Restano, oltretutto, ancora irrisolti i numerosi dubbi sollevati in passato[5] sia sulla reale utilità di uno strumento “Simil-PEC” destinato “esclusivamente alle comunicazioni tra PA e cittadino, e viceversa” sia sul contenuto di quel misterioso fascicolo elettronico che sarà costituito insieme ad ogni CEC-PAC e su come sarà tutelata la privacy dei cittadini relativamente al suo contenuto. Inoltre, nessuno si sta ponendo con la dovuta attenzione le innumerevoli problematiche che l’adozione massiva della PEC e della nuova CEC PAC comportano in termini di protocollazione, gestione di buste, certificati, documenti informatici con formati diversi e loro corretta conservazione nel tempo. Come spiegato in maniera approfondita in un contributo scritto a due mani con Gianni Penzo Doria[6], l’art. 4, comma 4, del citato DPCM 6 maggio 2009 (G.U 25 maggio 2009, n. 119) su rilascio e uso della casella di PEC ai cittadini prevede che le pubbliche amministrazioni devono accettare le istanze dei cittadini inviate tramite PEC nel rispetto dell’art. 65, comma 1, lettera c) , del decreto legislativo n. 82 del 2005. L’invio tramite PEC costituisce sottoscrizione elettronica ai sensi dell’art. 21, comma 1, del decreto legislativo n. 82 del 2005; le pubbliche amministrazioni richiedono la sottoscrizione mediante firma digitale ai sensi dell’art. 65, comma 2, del citato decreto legislativo. Leggendo questo articolo, appare evidente che il legislatore confonda il contenitore (pur chiuso con ceralacca informatica!) con il contenuto e tale ambiguità non rasserena chi, in una amministrazione pubblica, deve protocollare l’“istanza PEC con firma elettronica leggera”! La PEC (CEC PAC compresa) è, infatti, uno strumento di comunicazione telematica sicuro e “certificato”, ma in nessun caso può fornire una risposta incontrovertibile circa la corretta attribuzione della paternità del contenuto trasmesso. La certezza circa la paternità e l’integrità di un documento – ed è questa una chiave di volta imprescindibile per la corretta rivoluzione digitale – può essere garantita solo dalla firma elettronica qualificata, così come ampiamente definita nel quadro normativo vigente. Questo principio è fondamentale anche per garantire l’armonia complessiva delle disposizioni normative emanate in materia di formazione, protocollazione, gestione, trasmissione e conservazione del “documento informatico”, la cui certezza giuridica è ba-sata appunto sulla presenza di una firma digitale, quale sigillo circa la sua provenienza, integrità e autenticità.

Le amministrazioni pubbliche non possono trovarsi nell’imbarazzo di attribuire valore legale e avviare procedimenti amministrativi accettando con neutralità istanze non sottoscritte digitalmente e soltanto veicolate attraverso la PEC. Sono in gioco la certezza del diritto e la garanzia della custodia di documenti validi e rilevanti nei futuri archivi digitali.


[1] http://www.innovazionepa.gov.it/ministro/salastampa/notizie/6990.htm
[2] Pec, un bando a misura di Poste su :http://www.corrierecomunicazioni.it/pdf_giornale/1/2009/15/CorCom_09.pdf
[3] http://www.anci.it/index.cfm?layout=dettaglio&IdSez=10970&IdDett=18421
[4] http://www.corrierecomunicazioni.it/index.php?section=news&idNotizia=74947
[5] http://punto-informatico.it/2699360/PI/Commenti/ma-che-cec-pac-dici.aspx
[6] Che PEC-cato! La posta elettronica certificata tra equivoci e limitati utilizzi concreti di A. Lisi e G. Penzo Doria disponibile alla pagina http://www.studiolegalelisi.it/document/PEC%202010%20PENZO-LISI%20IMPRIMATUR.pdf.
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