BtJunkie e la caccia al ladro

Che sia il gusto del proibito o la enorme appetibilità del mondo del Download multimediale, l’epopea di «btjunkie» sembra non avere mai fine.  All’embargo imposto al sito di Torrent dalla magistratura cagliaritana ad aprile che aveva negato agli utenti italiani l’accesso al sito di download pirata, la “rete” aveva risposto con un sistema di bypass che consentiva di aggirare il blocco attraverso l’utilizzo di servizi proxitalia.com. Accortasi della violazione, la Guardia di Finanza di Cagliari ha oscurato anche il sito che consentiva l’accesso al motore di Torrent, bloccando l’intero servizio di PROXI che ovviamente serviva altri siti web inibendo de facto tutti quelli che usufruivano del servizio di Proxitalia. Come se non bastasse, la Magistratura è intervenuta con un provvedimento a carico di Fastweb e Ngi, accusate di favoreggiamento alla pirateria: tanto per intenderci, come se il fornitore di servizi di telefonia fosse responsabile delle azioni illegali dell’utente che naviga utilizzando quel provider. Ma Btjunkie non ci sta, e a fronte della perdita del 67% dei suoi utenti in soli 3 giorni dallo scorso venerdì, giorno in cui è stato colpito dalla censura, ha già sferrato il contrattacco. Come annunciato nella testata specializzata  TorrentFreak, i gestori del sito di Download pirata hanno lanciato una sfida al sostituto procuratore Pilia, autore dell’ordine di inibizione di BtJunkie, e alle autorità italiane, realizzando un nuovo sistema di accesso al motore di ricerca per gli utenti italiani attraverso un servizio di proxy creato ad hoc utilizzando Google Apps. Il sito è infatti già nuovamente attivo, basti fare click QUI per accedere nuovamente al servizio. E non è finita qui, perché gli amministratori del sito sono già in guardia contro sfide future: lo annuncia l’avviso che campeggia nel sito in primo piano: “In caso di ulteriori blocchi del sito, inserisci la tua e-mail per essere informato dei nuovi indirizzi disponibili”, quasi a voler invalidare qualsiasi potenziale tentativo di blocco futuro.

Un gioco a rimpiattino che fa tornare di attualità il vecchio film  di Totò “Guardie e Ladri“, mentre, seppur traslato in una dimensione moderna, globale e multimediale, il lancio di “BtJunkie.org” suona un po’ come la vendetta di “The Pirate Bay“, e dà il via ad una caccia al ladro che si preannuncia infinita poiché inscritta in una dimensione globale ed espressione di un fenomeno di proporzioni ben più ampie del singolo caso impugnato dalla Magistratura cagliaritana. Come potrebbe, del resto, un provvedimento locale abbattere un fenomeno dinamico e globale come quello del download multimediale illegale? E soprattutto, come è possibile intentare azioni penali nei confronti di comportamenti che non sono sanzionati in modo uniforme dalle legislazioni di tutti i Paesi del mondo, ma che in talune aree del globo sono legali, in talaltre illegali? È più facile pensare, invece, che l’attenzione e il rilievo mediatico attribuiti alla questione non producano altro effetto che quello di incentivare gli utenti all’utilizzo di un sito della cui esistenza, probabilmente, non erano neanche a conoscenza prima che si scatenasse il caso nella capitale sarda. A testimonianza della vulnerabilità della rete pensiamo alle violazioni subite negli ultimi mesi da società multinazionali e istituzioni governative. Subito dopo il dibattutissimo caso Assange, autore di Wikileaks, tra le vittime degli attacchi nomi come SONY, SEGA, il Senato degli Stati Uniti e  addirittura il superprotetto Pentagono. Solo alla SONY sono stati sottratti 85 milioni di dati personali e numeri di Carte di credito: qui il video della ABC che racconta le intere vicende. E proprio nel momento in cui sto scrivendo, un post di AnonymousIRC, l’account di Anonymous su Twitter, annuncia: “Abbiamo violato i server della NATO (..) In questo momento siamo seduti su circa un gigabyte di dati dell’Alleanza, molti dei quali non possono essere pubblicati perché sarebbe da irresponsabili.. ma aspettatevi dati interessanti nei prossimi giorni“. Il carteggio segreto derubato alla NATO sarebbe  successivamente finito nelle mani del sito Blottr.com news service, che ha annunciato la notizia, seguito immediatamente dal discutibile comunicato della stessa NATO la quale, lungi dal tradire preoccupazione e allarmismo, minimizza sull’accaduto, e giudica l’attacco come un episodio  isolato e privo di conseguenze, poiché non avrebbe interessato gli archivi dei documenti militari. Dichiarazioni evidentemente smentite dai contrassegni che coprono i documenti di cui gli hacker sono entrati in possesso, marcati come “NATO RESTRICTED”.  Come interpretare queste azioni? Come una  provocazione di LulzSec? Probabilmente. Ma più probabilmente un’azione di rivendicazione della LIBERTA’ IN RETE, del carattere di trasparenza che andrebbe restituito al web quale piattaforma di comunicazione e informazione libera dai vincoli imposti alla realtà mediatica non multimediale. Lungi dal legittimare le violazioni sin qui condotte dai pirati del web, vale la pena tuttavia ricordare quale sia la funzione della Rete, affinché i soggetti – istituzionali e non – che accettino di registrare i propri dati su qualsiasi sito web, recuperino la coscienza e il senso di responsabilità rispetto alla propria scelta. Che siano le stesse violazioni della Privacy e non le azioni legali a riconsegnare alla realtà chi autonomamente sceglie di abitare il mondo di Internet. Naturalmente, nel caso dei siti di Torrent e del copyright, si sa, protagonisti sono gli interessi economici e non certo le questioni di principio. D’altro canto, però, sanzioni e arresti ai danni di hacker e pirati informatici in Italia sembrano essersi rivelati il più delle volte insufficienti quando non inefficienti. In Inghilterra lo scorso giugno un diciannovenne accusato di aver violato i dati sensibili di aziende e agenzie di intelligence di tutto il mondo è stato arrestato col concorso di Scotland Yard e FBI. L’operazione è scattata pochi giorni dopo che LulzSec rivendicasse l’attacco al sito della CIA.“Vi sentite al sicuro con i vostri account Facebook, Google mail, Skype?”– aveva detto LulzSec nella sua lettera – “Siete pedine per queste persone. Un giocattolo. Una sequenza di caratteri con un valore”. La polizia ignora se il responsabile della violazione sia legato a LulzSec, che tuttavia ha prontamente lanciato una nuova provocazione alle autorità in un post pubblicato lo stesso giorno in cui il diciannovenne fu arrestato:“L’arresto consumatosi oggi farà la differenza?” – scrive – “Sembra che il glorioso leader di LulzSec sia stato arrestato, è tutto finito adesso… aspettate… siamo tutti ancora qui! Quale povero sfigato hanno fatto fuori oggi?”. Risale invece al luglio di un anno fa la condanna inflitta da un tribunale tedesco a due giovani – 18 e 23 anni – per violazione dei database dei computer appartenenti a manager e dipendenti di case discografiche di popolari artisti della musica tra cui Lady Gaga, Mariah Carey e Justin Timberlake. I due hacker andavano in cerca di scoop, foto private e pezzi inediti per poi vendere il materiale online ricavandone diverse migliaia di dollari. Violazione del diritto d’autore e della privacy sono le due delle 12 accuse in capo ai due ragazzi in forza delle quali è stata inflitta la condanna. Il Tribunale dispose allora 18 mesi di riformatorio, 6 mesi di lavori socialmente utili e psicoterapia coatta per dipendenza da hackeraggio a carico del diciottenne, sospensione della pena per 18 mesi a carico del 23enne: ben altra cosa, dunque, rispetto agli Stati Uniti, dove le leggi sono molto più severe. Datato invece aprile 2010 il caso che coinvolse l’ex governatrice dello stato dell’Alaska Sarah Palin, il cui indirizzo e-mail era stato insistentemente violato da un allora studente universitario del Tennessee, quando la donna era candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti per il Partito Repubblicano nel 2008. Non spionaggio ma furto d’identità, un’accusa che sarebbe potuta costare all’ex studente una condanna a 50 anni di reclusione, se non fosse stato infine incriminato “solo” per semplice ostruzione di giustizia combinata ad utilizzo illegale del computer, per una condanna finale di 25 anni di reclusione e 500,000 dollari di risarcimento oltre le ingenti spese legali. Osserviamo invece quanto accaduto negli ultimi mesi in territorio italiano: LulzStorm e Anonymous. Un bel polverone e tante chiacchiere, più spesso risoltisi in un nulla di fatto. Se infatti  al teenager britannico stanato dalla polizia anglo-americana toccheranno almeno 15 anni di reclusione e all’ex studente del Tennessee 25, LulzStorm e Anonymous presumibilmente la farebbero franca anche se venissero smascherati. E non certo perché gli hacker italiani siano più abili di quelli tedeschi e anglosassoni, ma perchè la giustizia italiana, e più in generale quella europea, non dedica al fenomeno dell’hackeraggio la necessaria attenzione: basti paragonare la severità delle pene inflitte negli Stati Uniti alla relativa tolleranza dei provvedimenti in Europa (come visto in Germania). A ben vedere, come spiega Graham Cluley, analista di Sophos, il problema dell’hackeraggio  è un problema strutturale e legato ad interessi di diversa natura, che si riverberano nella rete quale depositaria di un patrimonio di informazioni dal valore inestimabile. Lo stesso Cluley individua altresì tre tipi di pirati informatici: gli “hacktivisti”, i cui attacchi hanno generalmente una matrice politica, ideologica, o addirittura ludica, i “criminali autentici”, quelli che rubano dati personali e dettagli delle carte di credito a scopo meramente economico, e gli “infiltratori”, che, mossi da interessi economici o militari, attaccano miratamente organizzazioni e istituzioni governative. Gli esperti in sicurezza spiegano che l’utente internet ordinario può considerarsi protetto, in linea di massima, se si assicura di osservare le misure di sicurezza standard, quali l’eliminazione delle e-mail provenienti da indirizzi estranei e la modifica periodica delle password digitate all’accesso ai siti oggetto di navigazione, e soprattutto navigare in siti web sicuri. Più volte la nostra associazione ha trattato la questione, promuovendo inoltre un proprio sito web: www.comunicaresicuri.org, che indica le direttive e le linee guida da rispettare per una navigazione sicura.

 

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